Cinquant’anni di prelibatezze: Fabrice Camplone, il re dei pasticceri abruzzesi, si racconta attraverso la storia familiare, i suoi successi e le sue invenzioni passate e future. Una storia che ha il colore del caffè, il profumo del cioccolato e i sapori dei suoi eccezionali gelati di Giorgio D’Orazio.
Non sale più nell’aria della Pescara Vecchia l’odore del forno di Flaiano a risvegliare certi umori, come vorrebbe d’Annunzio, ma oggi sulla piazza Garibaldi si affacciano le vetrine di Caprice e intuire sapori invitanti non è difficile. Ritrovo ormai storico della città, inaugurato nel 1982, è il quartier generale del pasticcere, anzi Maestro Pasticcere, Fabrice Camplone. È con lui che siedo ad un tavolino, con la sua ospitalità abruzzese, discreta e sincera, con la sua riservatezza composta che accenna appena ad un curriculum di tutto rispetto. Siamo comodi e partiamo da lontano. Da quando papà Tullio, l’inventore del dolce “Presentosa”, della torta “Florita” (dedicata alla moglie Margherita) e soprattutto del gelato a tre punte “Capriccio”, apre la sua prima pasticceria. Era il 1957, la piazza “della Pescara” senza il ponte d’Annunzio era un salotto accogliente, e le vie del “tridente” si coloravano di mestieri e passeggio: più bottegaia via delle Caserme, più elegante corso Manthonè.
È lì che i Camplone si fanno le spalle. Sì, ho usato il plurale, perché anche il piccolo Fabrice, classe 1961, comincia allora a respirare l’atmosfera del laboratorio. Poi è venuto il “bar Camplone”, all’angolo tra corso Umberto II e via Firenze: nel 1975, con una città in pieno sviluppo, Tullio passa il fiume con fiuto imprenditoriale e s’impone come referente per i golosi di tutta Pescara. E Fabrice? Lui è costretto a svegliarsi di notte, e sotto con la preparazione dei cornetti: vuoi fare il pasticcere? Lavora. Hai voluto la bicicletta? Pedala. È questo che gli dice il papà, che non tiene troppo a passargli il testimone, e Fabrice pedala pedala, vuole continuare la tradizione, quel mestiere è una passione, non un’attività da rilevare per convenienza. Ragioniere, rifiuta il famigerato impiego in banca, roba da matti in quegli anni, poi parte per Milano e Torino, oltre le Alpi, è in Europa, soprattutto in Francia, ed impara l’arte del panettone e del cioccolato, affina la gavetta di casa propria, screma da ogni esperienza per conservare quel che serve ad un pasticcere creativo così legato alla sua terra d’Abruzzo. Siamo tornati al principio degli anni Ottanta. E da “Centrale” ritorniamo a Portanuova, ancora piazza Garibaldi, quasi un capriccio, meglio: Caprice.
Antonella entra nella vita di Fabrice come moglie ma anche come alter ego nella gestione dei negozi (per i quali si occupa soprattutto delle pregevoli confezioni, insomma dell’immagine dell’azienda); Caprice cresce, una succursale apre nel centro commerciale Auchan sulla Tiburtina, e crescono anche i loro figli, Gianluca e Fabrizia. Ma è controtendenza. Perché la zona storica della città è in decadenza, cominciano a chiudersi gli usci delle attività commerciali nei dintorni e Caprice diventa spesso l’unica ragione per soffermarsi in piazza. Con gli anni Novanta arriva la ripresa. Si riaccende il borgo di Flaiano e del Vate. Per Fabrizio Campione si accendono le lampadine dell’inventiva e qualche riflettore di celebrità dalla rassegna stampa invidiabile. Compila, rigorosamente a mano, i suoi ricettari, sottochiave in luogo segreto (ma ammette di averne pubblicato uno di recente), cerca e ricerca materie prime particolari e genuine; con un’attenzione pignola ai prodotti tipici del territorio impasta, monta e presenta le sue novità. Per esempio il “DolceMila” (pensate alla Figlia di Jorio), dalla forma ispirata ai nostri canestri contadini, con mandorle e “scrucchijata”, una tipica marmellata di uva Montepulciano; oppure il dolce al farro di Caprafico; o ancora i cioccolatini “Immagini” con impressi i simboli del patrimonio storico-culturale pescarese.
E poi i gelati; bandendo i semilavorati tutto è ancora genuino e autentico: un connubio fra tradizione regionale e gusti classici, come per il gelato alla liquirizia di Atrio e quello ai lamponi. Fabrizio Campione con alcune sue creazioni e vino Pecorino o prosecco, al latte e menta, alla Centerba, e ancora all’Aurum, al confetto di Sulmona, alla Genziana e via così. Con gli stessi gusti poi si preparano le mousse, “passione dei turisti” come dice Fabrizio, mentre sposando liquirizia e zafferano verrà fuori un panettone giudicato nel 2008 il migliore dall’esigente cattedra milanese di “Re panettone”, scusate se è poco. Nel frattempo fuori dal laboratorio Fabrizio viene esaminato a Verona, teoria e pratica. È il febbraio del 1996 e una mousse alla Presentosa, dedicata a papà Tullio, appena scomparso, apre al pescarese le porte dell’Accademia Maestri Pasticceri Italiani, ambitissimo cenacolo per i big del mestiere. E uno come Fabrizio, primo classificato al Gran Prix Cioccolateria di Perugia (1994), alle Olimpiadi Culinarie tedesche (2000) e al romano “Award del Pasticcere” (2009), nonché finalista o “piazzato” in altri concorsi, competizioni e simposi di taglio internazionale, sa starci perfettamente a suo agio. Anche quando nel 2007, per amore professionale e, ancor più, della sua città e di tutta la regione, prova (ma non riesce per la mancata collaborazione del Comune) ad organizzare il “XV Simposio Pubblico” dell’Accademia all’ex Aurum, da poco rimesso a nuovo, un’occasione perfetta per riscaldare i macchinari della “fabbrica delle idee”. Un’altra occasione persa per la città e uno spiacevole ricordo per Fabrizio, che lascia però subito il posto alla sua generosità tipicamente abruzzese: «Ti riporti un po’ di gelato?» Come faccio a dire di no a quei sapori, splendida sintesi tra tipicità nostrane ed esperienze estere, la linea guida fondamentale del lavoro di Campione? Penso di raggiungerlo al bancone per prendere un vetrino “La Dolce Vita”, omaggio al satiro Ennio, ma torna subito al tavolo e approfitto per scucirgli qualche altra parola. Sulle novità, magari sulla assodata linea “gluten free” e sul nuovo reparto dedicato ai celiaci, o ancora sulle prospettive future. «La novità impacchettata è il “Pane dolce”, un impasto tradizionale con le patate del Fucino, e poi voglio lavorare alle “Sise di monaca” di Guardiagrele…» dice con entusiasmo. È questo Fabrizio Campione, sempre pronto a rimettersi in gioco, questa la filosofia Caprice (dal 2005 tra i 15 migliori bar italiani). A parte tutto, quel che resta è il lavoro ben fatto e col lavoro quello che viene è il riscontro soddisfatto della clientela, la quale, se alza un po’ lo sguardo entrando, può leggere l’ora sullo stesso orologio che da cinquant’anni scandisce il tempo dei pasticceri Campione. “Cinquant’anni di dolcezza” ripetono loro. Ed ecco che il meglio è salvato.
• In queste foto Fabrizio Campione col suo staff e al lavoro. Qui a fianco, un interno di Caprice.
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